Disclaimer grafico

Disclaimer grafico

lunedì 14 aprile 2008

Favola

C'era una volta, in un paese molto lontano lontano, una bambina piccina ma molto vivace e molto, molto intraprendente. Tutti dicevano che da grande sarebbe diventata una ragazza molto, molto bellissima, e che avrebbe incontrato un uomo molto affascinante e dai modi eleganti che l'avrebbe molto, molto sposata.

La bambina si ammalò d'una malattia apparentemente sconosciuta e morì dopo cinque giorni di agonia alla molto, molto tenera età di sette anni.
La Fine

venerdì 11 aprile 2008

giovedì 27 marzo 2008

Travelling without moving

Se esistesse la macchina del tempo sarebbe un casino*. Sarebbe molto più pratico se fossi io a inventare la macchina del tempo, invece, perchè la terrei segretamente nascosta e la userei soltanto io. Per cosa userei la macchina del tempo? Uh, grazie per la domanda, ci ho pensato, e ho compilato una lista di cose che farei se inventassi la macchina del tempo, tutte azioni dall’alto contenuto sociale, morale ed ecologico:
- subito dopo un pranzo o una cena tornare indietro nel tempo per non avere i piatti da lavare**;
- dopo una potente sbornia andare avanti nel tempo per evitarmi i fastidiosi postumi***;
- in genere non c’è nulla da fare per giorni e giorni fino a che non capitano due o più feste/eventi/pizzate/uscite proprio la stessa sera, accavallate. Beh, con la macchina del tempo mai più scelte!****
- raccogliere un oggetto e portarlo indietro nel tempo di qualche secondo in modo da avere lo stesso oggetto due volte, per il solo gusto di violare apertamente il principio di conservazione della materia;
- tornare al 7 aprile 30, 27 aprile 31, o 3 aprile 33 (un venerdì, comunque) per evitare che Gesù venga crocifisso, con tutte le dovute conseguenze del caso;
- tornare indietro nel tempo dopo aver comprato qualcosa ad un distributore automatico per recuperare i 40 centesimi spesi;
- andare avanti nel tempo in un appuntamento galante per saltare le spese della cena e soprattutto i noiosi preliminari;
- andare indietro nel tempo per essere io ad aver inventato la lampadina, o, a scelta, il vibrafono;
- andare indietro ai tempi delle superiori per poter andare avanti nel tempo e saltarmi i compiti in classe e le interrogazioni (specie quelle a sorpresa);
- andare avanti al 31 dicembre 9999 per vedere come sarà festeggiato il capodanno dell’anno diecimila, e soprattutto per vedere se in quel lontano futuro la razza umana sarà sufficientemente avanzata per capire l’inutilità dei fuochi d’artificio;
- andare avanti di un secondo al giorno per guadagnare tempo;
- tornare indietro nel tempo e registrare i diritti sulla canzone “Tanti auguri a te”. E concedere successivamente ad Elio e le Storie Tese il permesso per il remake che ne hanno fatto, che ora come ora non-può-essere-diffuso;
- andare avanti in un futuro lontanissimo per togliermi la curiosità di sapere se nel frattempo si è scoperta vita in qualche altro pianeta, o se nel frattempo si è estinta in questo.
Ho già una mezza idea sul progetto della macchina del tempo. Stavo pensando di usare una DeLorean, che deve raggiungere le 88 miglia orarie. Che poi in km/h non ho nemmeno idea di quanto siano.

* Se fosse esistita la macchina del tempo sarebbe stato un casino. Se esiste la macchina del tempo è un casino. E così dimostro di saper usare tutti e tre i periodi ipotetici.
** Valenza ecologica.
*** Valenza morale.
**** Valenza sociale. Come vedete ci sono tutte e tre, quindi non raccontavo menzogne.

domenica 24 febbraio 2008

(senza titolo)

Questo è l'inizio del racconto. Dopo la frase iniziale di solito segue quella che viene definita la seconda frase. Cioè, non di solito. Direi che è sempre così. Non può che esserlo, è ineccepibile. Il problema è quello che viene dopo. Sì, perché non basta lo spunto, bisogna sapere come proseguire. Bella storia. Quante volte un racconto si pianta all'inizio, impantanato. Così è. Milioni di racconti in milioni di cassetti. Milionamente abbozzati da milionate di mani e menti pensanti (non sempre, a dire il vero, a centinaia diciamo). Cominciati tentennati abortiti. Nati morti. Quindi uno si siede e prende una penna in mano, e solo per esser riuscito a impugnarla ritiene di poter filare un segno dietro l'altro, lettera a lettera, parola, frase virgola punto apostrofo tilde punto e a capo la prima maiuscola le altre minuscole. Poi dizionario alla mano si chiede se ha scritto giusta l'ultima parola. Quella doppia lì quella letterina di troppo quell'accento. Non sempre, bisogna dirlo. A volte niente dizionario. Sarà giusta così com'è, non v'è dubbio, neanche a chiederlo. Poi il blocco. Per dieci che arrivano alla decima pagina novanta si son fermati alla seconda. Tra quelli, due arrivano a cinquanta e uno solo a cento e oltre. Anzi, quello che arriva a cento, non sazio, quasi per umiliazione degli altri a corto d'idee e d'inchiostro, esagera, vuol fare il prolisso, dimostrare a tutti che lui può arrivare a trecento cinquecento mille. Sì, diecimila. Il problema sarà poi quello della proporzionalità inversa dei lettori. Per ogni pagina sopra le duecento un lettore abbandonerà prima della fine. Per ognuna sopra il mezzo migliaio un lettore non comincerà neppure. Attirati da storie più brevi. Immediate ed economiche. La rivincita del lento. Lento a scrivere, lento a leggere. O anche lento a scrivere, rapido a leggere, non importa più a quel punto. A quel punto il racconto prende un'altra piega, vuole spiazzare, stupire. Ti ripago di aver scelto me. In realtà più che altro non sapevo come andare avanti. Maschero la pochezza delle idee col cambio di rotta. Trascino il racconto al giro di boa. La frase del giro di boa ha la caratteristica di essere preceduta da una frase e seguita da un'altra frase. Come ogni altra frase del racconto, del resto. A parte la prima, ovviamente, e l'ultima. Ma quella centrale ha la particolarità di essere più vacua delle altre. E' questo suo stare equidistante dai margini. Quindi al giro di boa viene introdotto il nuovo elemento spiazzante. Ha l'effetto di permettere a chi scrive di usare lo stesso minestrone della prima metà del racconto anche per l'altra metà. Nessuno si accorge di nulla, perché ora c'è un nuovo elemento, sembra si parli d'altro, di cose nuove. Così ti adagi su una poltrona e allunghi entrambe le gambe sul tavolino, una sull'altra. Sollevi il volume fin sopra gli occhi e continui a leggere. Ma qualcosa ti sembra non torni. Che succede, ti chiedi. Quello che sto leggendo fa ancora parte del racconto, ti domandi. Ti sorge anche il dubbio che vi sia un nuovo elemento che prima non c'era. Ma non ci badi, non subito. Poco oltre, forse, ma non subito. Sovrappensiero leggi fino in fondo alla pagina ma t'accorgi che non stai più prestando attenzione alla lettura, pensi ad altro. Devi tornare su con lo sguardo per comprendere il collegamento dell'ultima frase scorsa dagli occhi con l'ultima assimilata dal cervello. Poi capisci che per quel giorno non si va oltre, e chiudi il libro.

venerdì 15 febbraio 2008