Disclaimer grafico

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domenica 24 febbraio 2008

(senza titolo)

Questo è l'inizio del racconto. Dopo la frase iniziale di solito segue quella che viene definita la seconda frase. Cioè, non di solito. Direi che è sempre così. Non può che esserlo, è ineccepibile. Il problema è quello che viene dopo. Sì, perché non basta lo spunto, bisogna sapere come proseguire. Bella storia. Quante volte un racconto si pianta all'inizio, impantanato. Così è. Milioni di racconti in milioni di cassetti. Milionamente abbozzati da milionate di mani e menti pensanti (non sempre, a dire il vero, a centinaia diciamo). Cominciati tentennati abortiti. Nati morti. Quindi uno si siede e prende una penna in mano, e solo per esser riuscito a impugnarla ritiene di poter filare un segno dietro l'altro, lettera a lettera, parola, frase virgola punto apostrofo tilde punto e a capo la prima maiuscola le altre minuscole. Poi dizionario alla mano si chiede se ha scritto giusta l'ultima parola. Quella doppia lì quella letterina di troppo quell'accento. Non sempre, bisogna dirlo. A volte niente dizionario. Sarà giusta così com'è, non v'è dubbio, neanche a chiederlo. Poi il blocco. Per dieci che arrivano alla decima pagina novanta si son fermati alla seconda. Tra quelli, due arrivano a cinquanta e uno solo a cento e oltre. Anzi, quello che arriva a cento, non sazio, quasi per umiliazione degli altri a corto d'idee e d'inchiostro, esagera, vuol fare il prolisso, dimostrare a tutti che lui può arrivare a trecento cinquecento mille. Sì, diecimila. Il problema sarà poi quello della proporzionalità inversa dei lettori. Per ogni pagina sopra le duecento un lettore abbandonerà prima della fine. Per ognuna sopra il mezzo migliaio un lettore non comincerà neppure. Attirati da storie più brevi. Immediate ed economiche. La rivincita del lento. Lento a scrivere, lento a leggere. O anche lento a scrivere, rapido a leggere, non importa più a quel punto. A quel punto il racconto prende un'altra piega, vuole spiazzare, stupire. Ti ripago di aver scelto me. In realtà più che altro non sapevo come andare avanti. Maschero la pochezza delle idee col cambio di rotta. Trascino il racconto al giro di boa. La frase del giro di boa ha la caratteristica di essere preceduta da una frase e seguita da un'altra frase. Come ogni altra frase del racconto, del resto. A parte la prima, ovviamente, e l'ultima. Ma quella centrale ha la particolarità di essere più vacua delle altre. E' questo suo stare equidistante dai margini. Quindi al giro di boa viene introdotto il nuovo elemento spiazzante. Ha l'effetto di permettere a chi scrive di usare lo stesso minestrone della prima metà del racconto anche per l'altra metà. Nessuno si accorge di nulla, perché ora c'è un nuovo elemento, sembra si parli d'altro, di cose nuove. Così ti adagi su una poltrona e allunghi entrambe le gambe sul tavolino, una sull'altra. Sollevi il volume fin sopra gli occhi e continui a leggere. Ma qualcosa ti sembra non torni. Che succede, ti chiedi. Quello che sto leggendo fa ancora parte del racconto, ti domandi. Ti sorge anche il dubbio che vi sia un nuovo elemento che prima non c'era. Ma non ci badi, non subito. Poco oltre, forse, ma non subito. Sovrappensiero leggi fino in fondo alla pagina ma t'accorgi che non stai più prestando attenzione alla lettura, pensi ad altro. Devi tornare su con lo sguardo per comprendere il collegamento dell'ultima frase scorsa dagli occhi con l'ultima assimilata dal cervello. Poi capisci che per quel giorno non si va oltre, e chiudi il libro.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Un pò una metafora della vita.
Solo che certe pagine del libro se hai l'inchiostro e la volontà nel polso te le scribacchi tu, no?

Anonimo ha detto...

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